presenze
634
Goal
75
Vittorie
Nazionalita
IT
Vittorie
Giacinto Facchetti
Difensore
Un uomo buono, onesto, di una sola parola. Fuoriclasse in campo e fuori, Giacinto Facchetti è stato, anzi è ancora, un faro per tutti gli interisti e tutti quelli che credono che lo sport sia strettamente connesso con i suoi valori di base.

L’Atalanta provò a strapparlo all’Inter giovanissimo, ma invano: il gigante di Treviglio a dispetto delle ragioni geografiche la sua parola l’aveva data ai nerazzurri, di cui divenne, in oltre mezzo secolo, capitano, dirigente, presidente, monumento alla rettitudine.

Attaccante nella Trevigliese, Helenio Herrera lo inventò terzino ed ebbe ragione. Tecnicamente trattavasi un fenomeno, che inventò il ruolo moderno del fluidificante. In un’epoca in cui raramente i laterali varcavano la metà campo, segnò settantacinque reti, cifre da attaccante. Un fisico prodigioso, un’attitudine fisica e mentale al sacrificio, una tecnica di primissimo ordine, affinata sul campo dell’oratorio di Treviglio, gli consentivano di arrivare prima degli altri sul pallone, di sapere cosa farne, di scagliarlo, se necessario, nelle reti avversarie. Crebbe assieme all’Inter, ne diventò parte integrante e insostituibile, vero segreto calcistico e umano.

Il gol al Liverpool nel maggio del 1965, controllo e cannonata di destro al limite dell’area dopo un inserimento perfetto, probabilmente è la summa dell’Inter herreriana, capace di ripartenze letali e con talentuosi giocatori d’attacco, capaci di segnare oppure di creare spazi, prontamente occupati da Facchetti e dagli altri compagni. Terzo di undici nella filastrocca più famosa della storia del calcio italiano, quella che cominciava con Sarti e finiva con Corso.

Giacinto Magno lo definì Gianni Brera, calcisticamente innamorato del numero tre nerazzurro, maglia che mai nessuno indosserà più. Cipelletti invece era l’affettuosa storpiatura del cognome che ne fece Herrera, che con Giacinto colonna porterà l’Inter sul tetto d’Italia, d’Europa e del Mondo. Ma non sono solo i gol, le presenze, i trofei, la serietà nell’agire che ne hanno consegnato la figura alla leggenda sportiva.

È che Giacinto Facchetti è un po’ in ognuno di noi, ed è la parte migliore.

Il rischio, se così si può dire, è quello di ricordarlo e dipingerlo soprattutto per le sue doti umane.
Che sono state straordinarie, uniche. Descritte bene da una frase di Dino Zoff, uno che usava pochissime parole ma ben definite: “Un uomo trasparente e riconoscibile”. Un modello di sportività, una stella fissata nel firmamento nerazzurro e che splenderà sempre, guidando la rotta di chi è interista. Ma Giacinto Facchetti è stato anche un fuoriclasse meraviglioso sul campo da calcio. Innovatore e precursore, moderno già negli anni Sessanta quando reinventò l’interpretazione del ruolo di terzino.

C’era chi, come Gianni Brera, lo promuoveva come possibile centravanti. Così alto, forte, statuario e veloce, poteva in realtà occupare tutti i ruoli. Nella stagione ’66-’67 segnò dieci gol, record – senza rigori - per un difensore. Tra i 75 gol realizzati con la maglia nerazzurra resta nella memoria di tutti e nell’iconografia calcistica il bolide con cui bucò il portiere del Liverpool, nella storica rimonta in semifinale di Coppa dei Campioni che spalancò le porte alla finale con il Benfica, poi vinta. Ecco, i trofei. Quattro scudetti, due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali, una Coppa Italia. Nel ’68 trascinò l’Italia alla conquista dell’Europeo.

Un altro numero per dipingerlo alla perfezione: oltre 700 partite in carriera e una sola espulsione, nel ’75, quando applaudì l’arbitro che lo aveva appena ammonito. Uscì dal campo con la standing ovation di San Siro.
Il legame con i nostri colori è stato unico e indissolubile: tutta la carriera da calciatore, poi quella da dirigente e infine presidente. Integrità morale, onore, lealtà sportiva: Giacinto Facchetti, il Cipe, come lo chiamavano tutti dopo la storpiatura di Herrera, è stato il nostro numero 3 e lo sarà per sempre.

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