Enzo Bearzot, un campione del mondo nato nerazzurro



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15 mar 2017

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Con MondoFutbol verso Torino-Inter: la storia di un campione leale che ha vestito e amato la maglia interista


MILANO - "Guarda che hai il numero 5 sul petto". È il 21 novembre 1948 e Aldo Campatelli, centrocampista e bandiera dell'Inter, sta salendo la scaletta dello stadio 'San Siro' prima della partita tra i nerazzurri e il Livorno, valida per l'11^ giornata di Serie A. Accanto a lui, che di gare con la Beneamata ne ha giocate più di 200, c'è un ragazzo di 21 anni di Aiello del Friuli, che invece quel pomeriggio esordisce in massima serie. Si chiama Vincenzo Bearzot, ma tutti lo chiamano Enzo, e per l'emozione causata dal debutto ha messo la maglia nerazzurra al contrario. Viene da due stagioni in Serie B con la Pro Gorizia e l'Inter, la squadra di cui è tifoso (da ragazzo il suo idolo era proprio Campatelli, di cui teneva una foto sotto il cuscino), l'ha scoperto durante un'amichevole contro i bianco azzurri e l'ha portato all'ombra della Madonnina, nell'estate del '48.

Enzo, che il papà Egidio, direttore di banca a Cervignano del Friuli avrebbe voluto vedere medico o farmacista, rimarrà all'Inter fino al 1951, collezionando 19 presenze e cogliendo in nerazzurro due secondi e un terzo posto in campionato. Un triennio con il club milanese che lascia un'impronta fondamentale nella carriera e nella vita di Bearzot: a Milano, sul tram numero 3, come racconterà sempre con orgoglio, conosce Luisa, sua futura moglie per più di mezzo secolo e, grazie all'Inter e a una sua tournée negli Stati Uniti, scopre l'altra sua passione, oltre alla pipa e al pallone: la musica jazz.

Quello del '51 tra il club milanese e Bearzot sarà però solo un 'arrivederci'. Alla Beneamata, dopo tre stagioni al Catania e due al Torino, Bearzot tornerà infatti nel 1956. Una sola stagione, da giocatore maturo e da protagonista, mettendo in mostra la grande corsa, gli anticipi di testa e l'intelligenza tattica che lo hanno sempre caratterizzato. È l'Inter di Karl Lennart 'Nacka' Skoglund, di Benito Lorenzi, di Giorgio Ghezzi e il mediano Bearzot, accompagnato a centrocampo dal futuro allenatore nerazzurro Giovanni Invernizzi, raggiunge il quinto posto. A fine campionato, però, Enzo viene ceduto di nuovo al Torino. Ci rimarrà per sette stagioni e la maglia granata sarà l'ultima della sua carriera. Lì, al 'Filadelfia' si guadagnerà la fama di leader, si procurerà in una partitella infrasettimanale la terza frattura al naso, quella che gli darà il suo profilo caratteristico, e imparerà molto da un grande maestro della panchina come Nereo Rocco.

Da allenatore, prima delle giovanili granata, poi del Prato e infine nel settore squadre nazionali (seguirà l'Under 23 e dal '75 l'Italia dei 'grandi' in coppia fino al 1977 con un altro ex interista, Fulvio Bernardini), dove era entrato per volere di Ferruccio Valcareggi, scriverà la storia del calcio italiano. Non dimenticando mai Milano, che sarà sempre la sua casa (qui ha vissuto fino alla sua morte nel 2010) né l'Inter. Nel giorno del suo trionfo più bello, quello del Mondiale 1982, nella finale dell'11 luglio al 'Santiago Bernabéu' contro la Germania Ovest giocano tre nerazzurri: Alessandro Altobelli, che subentrando a inizio ripresa segna la rete del 3-0, Gabriele Oriali, che domina la sfida a centrocampo, e soprattutto Giuseppe Bergomi. "Lo Zio" ha poco più di 18 anni e Bearzot, per tutti ormai 'Il Vecio', l'ha buttato dentro nel match del secondo girone eliminatorio contro il Brasile per l'infortunio di Fulvio Collovati e non l'ha più tolto. A Madrid gioca con calma e attenzione limitando al minimo il capitano tedesco Karl-Heinz Rummenigge. I due, qualche anno dopo, giocheranno insieme per tre stagioni, proprio con la maglia dell'Inter.

La stessa che Enzo Bearzot, campione leale in campo e fuori, ha amato, insieme a quella granata e a quella azzurra, fino all'ultimo giorno.

 

Roberto Brambilla

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