Fulvio Bernardini, un talento coltivato in nerazzurro



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17 gen 2017

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MondoFutbol racconta uno dei grandi maestri del nostro calcio: un innovatore sempre un passo avanti


MILANO - Vedi alla voce innovazione. Sottoinsieme che riguarda il giuoco del calcio, parte da giocatore e da allenatore. Ci trovate Fulvio Bernardini, uno dei grandi maestri del nostro football.

Nella primavera del 1926, il 20enne della Lazio, romano del quartiere Monti, è uno dei migliori centrocampisti italiani, il primo nato nel Centro-Sud a esordire, nel 1925 con la maglia azzurra. Lui, che aveva abbandonato il ruolo di portiere a causa di un infortunio, ha tecnica, capacità di inserirsi e una notevole visione di gioco. Tutte qualità che gli valgono le attenzioni di due grandi club, come Inter e Juventus. Le proposte economiche sono entrambe allettanti, ma Bernardini sceglie i nerazzurri. Decisiva, oltre all'ingaggio e al posto in banca (Fulvio è diplomato in ragioneria) la possibilità per il ragazzo di continuare gli studi di economia alla prestigiosa "Università Commerciale Luigi Bocconi". Per lasciare la Lazio il centrocampista paga addirittura di tasca sua versando alla società 20mila lire in cambiali, con l'aiuto di suo fratello maggiore Vittorio.

All'Inter rimane due stagioni, ma per lui quella è un'esperienza di vita e di calcio fondamentale. Qui prende forma il suo genio, poi goduto appieno da tutto il Paese, sotto differenti campanili. All'ombra del Duomo studia (con ottimi risultati), vive per la prima volta lontano dalla famiglia e in campo, incanta. Davvero. Il tecnico Árpád Weisz, altro uomo di grande cultura e finissimo conoscitore di calcio, lo sposta da centrosostegno, il centrocampista di prima costruzione ad attaccante. E i risultati si vedono. Nel biennio con l'Inter Bernardini segna con regolarità, 10 gol nella prima stagione, 17 nella seconda. Uno dei primi lo realizza in una vittoria 6-3 contro il Milan il 19 settembre 1926. Fulvio porta in vantaggio 2-1 l'Inter ma soprattutto mette la firma nell'amichevole in cui si inaugura lo Stadio di San Siro. Nel 1980, quell'impianto verrà intitolato a Giuseppe Meazza, un ragazzo che Bernardini conosce bene. L'ha visto giocare poco più che ragazzino nelle giovanili dell'Inter e ha convinto il suo allenatore Weisz a provarlo in prima squadra. Il magiaro l'ha ascoltato e "Peppin" che non ha mai smesso di ringraziare Fulvio, diventerà una leggenda dell'Inter e del calcio italiano. Meazza e Bernardini giocheranno (e bene) insieme un solo campionato il 1927-1928, prima che il ragazzo, diventato uomo a Milano, torni nella Capitale per giocare nella Roma, la società dove rimarrà fino al 1939 e che dopo la sua morte gli dedicherà il centro sportivo.

Da lì inizierà un viaggio lungo la Penisola che lo porterà a fare il giornalista con ottimi risultati (da qui oltre che per la laurea il soprannome "Il Dottore"), il dirigente (fu commissario straordinario della FIGC nel 1944 con Ottorino Barassi) e soprattutto l'allenatore. Di quel mestiere, secondo quanto ha raccontato, si era innamorato nel 1939 vedendo Italia-Inghilterra a San Siro, con i britannici schierati con il "Sistema", una sorta di 3-2-2-3. Modificandolo e adattandolo alle caratteristiche dei suoi giocatori vincerà uno scudetto nel 1956 con la Fiorentina, ripetendosi poi nel 1964 con il Bologna. E proprio nella città emiliana, la stessa in cui era stato adorato il suo mentore nerazzurro Weisz, Fulvio fece l'impresa. Un'altra. Con una squadra tatticamente intelligente, costruita per pezzo per pezzo dal 1961 privilegiando i piedi buoni, conquisterà il campionato nel 1964, l'unico assegnato con uno spareggio. Nel match decisivo giocato nella "sua" Roma la formazione guidata da Giacomo Bulgarelli e dai bomber Pascutti e Nielsen batte 2-0 proprio l'Inter dell'altro genio Helenio Herrera. Sarà il suo ultimo trofeo, anche se "Fuffo", come hanno preso a chiamarlo tutti, continuerà a predicare calcio per più di dieci anni, arrivando anche in Nazionale, dove preparerà il terreno per il lavoro di Enzo Bearzot. Sempre da uomo di calcio. Sempre un passo avanti agli altri. Stimmate nerazzurre.

Roberto Brambilla


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