A Lukaku il premio “Giacinto Facchetti - Il bello del calcio”



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10 ott 2020

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In occasione del “Festival dello Sport”, kermesse organizzata da La Gazzetta dello Sport l’attaccante belga ha ricevuto il premio speciale in memoria dell’indimenticato numero 3 nerazzurro


MILANO - L’anno scorso è stato protagonista di una stagione da record, Romelu Lukaku “gol dopo gol in Italia e in Europa, ha dimostrato di essere un centravanti di razza, aggiungendo al suo bagaglio tecnico forza di volontà, generosità e altruismo. Qualità umane da vero leader”. Con queste parole, Gianfelice Facchetti ha spiegato la motivazione per cui all’attaccante nerazzurro è stato consegnato il premio “Giacinto Facchetti - Il bello del calcio”.

Nel corso della seconda giornata del “Festival dello Sport”, Lukaku è stato protagonista di una lunga chiacchierata in compagnia di Luigi Garlando, giornalista de La Gazzetta dello Sport:

Il tema del Festival è il Campione, per un bambino, per tutti noi il primo campione è sempre stato il papà, qual è la prima cosa che ti viene in mente se pensi a lui?

La disciplina e la mentalità sono cose che lui mi ha insegnato ogni giorno, sia in allenamento che nella vita. Avere rispetto per ogni persona che vedi, salutare, guardare le persone negli occhi, cose molto semplici ma che mi aiutano ancora ogni giorno.

C’è un gol che ti ricordi di tuo padre?

Sì, quello contro l’Anderlecht, lui aveva le videocassette dei suoi gol e c’era anche questo contro l’Anderlecht che mi è rimasto in testa perché l’ha fatto contro la mia squadra favorita in Belgio, volevo a tutti i costi giocarci ed è stato uno dei sogni che ho realizzato.

Mamma è stata una campionessa in un momento non facile per la tua famiglia.

Quando mio papà ha smesso di essere un giocatore professionista io avevo 6 anni e in quel momento hanno diagnosticato il diabete a mia mamma. Abbiamo passato degli anni difficili. Non avendo soldi mia mamma lavorava nei ristoranti e io e mio fratello andavamo con lei dopo le partite, i miei genitori non mangiavano la sera per far mangiare me e mio fratello. Tutte queste cose mi sono rimaste in testa, per questo ora ho sempre questa voglia di fare bene per mia mamma perché lei ha fatto tanti sacrifici per noi. Ogni volta che faccio gol faccio il segno della “A” con la mano proprio per dedicarlo a mia mamma Adolphine perché senza di lei io non sarei quello che sono oggi.

Molenbeek è entrata nelle cronache e come tutte le periferie è un posto non semplice. Tu hai avuto amici che magari si sono persi perché non hanno trovato come te una strada come quella dello sport?

No, perché io da 6 anni ho sempre avuto la visione e l’obiettivo di essere un calciatore, è sempre stato il mio sogno, quello per cui ho lavorato: andavo a scuola, poi all’allenamento e poi a casa, se uscivo era solo per giocare a calcio con i miei amici. Io e mio fratello abbiamo sempre inseguito questo sogno, ogni cosa che facevamo fuori casa era con la palla. Poi siamo stati fortunati ad avere sempre vicino dei genitori che ci hanno aiutato a fare quello che abbiamo fatto nella vita.

Tra i campioni che in qualche modo ti sono stati d’esempio o di ispirazione ci sono stati Hasselbaink e anche Vialli, giusto?

Di Hasselbaink ricordo il suo gol con il Chelsea contro il Manchester United dove lui controllava la palla di petto e tirava di destro all’incrocio dei pali, dopo che ho visto quel gol ho detto “io voglio fare questo”. Di Vialli mi ricordo perché a casa avevo la videocassetta della finale del Chelsea contro lo Stoccarda quando Zola ha fatto gol, ricordo ovviamente anche la finale dell’Inter contro la Lazio, quando Ronaldo ha fatto la partita della vita, per me sono gare incredibili.

Dalla Premier alla Serie A hai sentito anche una differenza culturale?

Da quando sono a Milano tutte le persone che ho incontrato mi hanno sempre dimostrato tanto amore. In Italia da subito ho sentito il calore dei tifosi, quando ho fatto gol contro il Lecce ho esultato ringraziando proprio loro, ricevo tanti messaggi di apprezzamento anche su instagram, twitter. Quando tu stai bene con le persone loro ti ricambiano, per questo voglio dare tutto per l’Inter, in modo che tutti i tifosi, anche quelli di altre squadre mi rispettino.

Come è giocare in uno stadio vuoto?

Brutto, prima cosa si sente tutto. Quando abbiamo giocato credo con il Brescia mi sembra, io ero da solo sul dischetto, non mi è arrivata la palla e ho detto una cosa che non si deve dire che si è sentita in TV ma poi mi hanno fatto ridere le reazioni su Twitter. I tifosi danno l’energia giusta per giocare, quando giochi in uno stadio pieno e fai gol davanti a tutti è bellissimo. Spero che quando potranno ritornare il prima possibile.

Cosa ti piace fare oltre al calcio?

Mi piace fare il dj, un po’ di mix a casa, mi rilassa. O gioco a calcio o mi alleno o gioco alla playstation con mio figlio, o ascolto la musica che mi rilassa perché quando sono in allenamento sono uno che si arrabbia molto velocemente.

Se dovessi dare un consiglio ad un giovane per diventare un campione?

Essere umile e ogni giorno essere più forte del giorno prima.

Dove ti ha migliorato di più Conte?

In tutto. Se un giocatore vuole giocare per Antonio Conte prima deve capire che è un sacrificio in tutto, a livello fisico e mentale, però poi in campo ti senti più forte e questo per me non era facile perché io vivo per il calcio, ho sempre l’obiettivo di essere un buon calciatore e il sogno di vincere qualcosa ma sapevo che lui era l’allenatore giusto e che questa era una squadra dove io avrei potuto crescere. Da quando ho iniziato ho dato ogni giorno il 100% e adesso stiamo facendo le cose bene però dobbiamo pensare di migliorare ogni giorno, questa è la mia mentalità ma anche quella della squadra.

A proposito di campioni, questa parola si lega a una coppa.

Noi dobbiamo far parlare il campo, lavorare in allenamento e vincere le partite.

Chi è il compagno più divertente?

Sensi, Young, Lautaro Martinez, Handanovic e Barella, questo è un gruppo molto unito.

Tre personaggi che vorresti o avresti voluto incontrare?

Il mio sogno era di incontrare Kobe Bryant, poi dico Mandela e Tupac Shakur.

Grazie per il premio, sono molto onorato di averlo ricevuto.


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